Situata a forma di anfiteatro sul mare, a mezzogiorno della Sicilia si trova Sciacca. È una piccola cittadina, in provincia di Agrigento, racchiusa da due fiumi quali il Belice e il Platani, composta da circa 43.000 abitanti.
Da sempre ci si interroga sull’origine del toponimo “Sciacca” e sono diverse le tesi venute fuori.
La prima risale ai greci che, scoprendo le acque calde per impiego termale, la nominarono “Therma”. Nel 1843 invece, secondo lo storico Savasta, il vero nome della cittadina divenne “Xacca”, derivato dal nome saraceno “Xech” che sta per “Signora” e “Governatrice”.
Secondo altre fonti, “Xacca” deriva da “Xach” che vuol dire “Mercurio”, fu con la lingua latina che il toponimo si trasformò in “Sacca”. La spiegazione più recente risale al 1925 e la si deve al Mons. Giuseppe Sacco. Secondo quest’ultimo, la parola “SCIACCA” non è altro che il participio maschile del verbo “SAQQA”, che porta l’idea di separare, dividere, fendere.
L’attribuzione di questo nome la si deve al fatto che, Sciacca, si trova quasi a metà strada tra Marsala e Girgenti, per cui, sin dall’inizio del dominio musulmano, era visto come il confine che separava le due provincie.
In una seconda teoria, risalente al 1938, si sostiene che il nome “Sciacca”, descriverebbe invece dal latino “EX ACQUA”, con chiaro riferimento alle ricche sorgenti di acque termali. Diversi studiosi, negli ultimi anni, ritengono che il suo nome derivi dall’arabo “SYAC”, il cui significato è “BAGNO”, altri invece da “Al Saqquah”, risalente al culto per il dio siriano “Shai al Quaaum”.
Ad oggi i cambiamenti di denominazione non si sono ancora fermati, prova di ciò è il recente tentativo, attuato negli ultimi anni, di cambiare il nome da “Sciacca” a “Sciacca Terme”.
Come qualsiasi città piena di storia, anche Sciacca fonda le sue origini in un tempo molto lontano e, proprio per questo, le scoperte fatte fino ad adesso sono insufficienti, per cui è difficile porre una precisa data di fondazione. L’unica tesi certa è quella che riguarda il punto in cui è posizionata la città, la sua sistemazione geografica, infatti, ha da sempre permesso l’arrivo di svariati popoli, ognuno portatore di un’identità culturale diversa dagli altri, che, giungendo da terra o da mare, approdavano sulle terre saccensi ed è esattamente questo il punto di partenza che ha permesso l’evolversi di diverse epoche culturali.
I primi visitatori furono i Greci. Essi scoprirono le acque calde per impiego termale e le stufe vaporose di Monte Kronio, fu soprattutto questo il motivo che li spinse a formare la prima cittadina. Successivamente arrivarono i Cartaginesi che, scappando dalla distruzione di Selinunte nel 409 a.C., si rifugiarono a Sciacca, incrementando così la popolazione e le attività commerciali.
Dopo la Prima Guerra Punica, la Sicilia passò sotto l’egemonia romana. L’impero Romano così vasto e potente, permise la creazione, a Sciacca, della prima stazione postale più importante dell’Isola. Come se non bastasse, i romani svilupparono il porto saccense il quale, grazie alla partenza di navi piene di grano che servivano a munire tutto l’impero, divenne un importante fonte di risorsa.
Non molto tempo dopo, gli anni d’oro dello sviluppo commerciale, subirono una brusca interruzione da imputare alle invasioni barbariche, i quali furono fermati e sconfitti dal generale Giustiniano, con la stessa tempestività con cui arrivarono.
Libera dalle invasioni, la Sicilia passa sotto il dominio Bizantino. La longevità dell’impero fu strabiliante. Ad invidia di tutti gli altri, ebbe una vita lunga tre secoli. Durante l’egemonia bizantina, Sciacca vide la presenza di diversi monaci eremiti, tra cui San Calogero che, dopo aver girato la Sicilia per diffondere il Cristianesimo, passò gli ultimi anni della sua vita sul Monte Kronio, in una grotta rimasta intatta nel tempo e divenuta oggi meta di molti turisti.
La fine del secolare dominio, fu segnata da una lunga guerra tra musulmani e bizantini, la quale condusse Sciacca sotto il dominio arabo, a cui, ben presto, seguì quello normanno.
Durante il periodo arabo-normanno, Sciacca sbocciò, raggiungendo il suo massimo splendore. La città venne arricchita con palazzi, monumenti, piazze, chiese, il commercio raggiunse un alto livello di sviluppo e furono costruite le prime mura che servivano a difenderla dagli attacchi esterni.
All’arabo-normanno seguì un periodo Svevo, soppiantato, dopo lo scoppio della guerra del Vespro, da quello Angioino, a cui ebbe seguito quello Aragonese.
Fu poi la volta della dominazione Spagnola. Quest’ultima lasciò la città profondamente segnata da una sanguinosa guerra che prese il nome di: “Caso di Sciacca”.
Il “Caso di Sciacca” fu una secolare e sanguinosa lotta, nata dal contrasto tra due nobili famiglie, i Luna (nobile famiglia Catalana) ed i Perollo (nobile famiglia Normanna). Il motivo scatenante del conflitto fu un amore segreto, quello tra di Giovanni Perollo per Margherita (potente Fam. Peralta), sposata con Don Artale Luna, ma in realtà il rancore esisteva già da tempo, causato da interessi politici ed economici. La fine dell’ostilità fu segnata da un violento attacco da parte di Sigismondo Luna, il quale uccise Giacomo Perollo e gran parte dei suoi fedeli.
La fine del “Caso di Sciacca” non segnò anche la fine delle egemonie, infatti, al dominio spagnolo, seguì il Regno dei Borboni.
Il 1860 fu segnato da una grande manifestazione, scaturita dallo sbarco dei Mille da parte di Garibaldi a Marsala. La nuova ventata di agitazione coinvolse tutta la città e, molti giovani saccensi, partirono in aiuto di Garibaldi. La manifestazione pose fine al Regno dei Borboni e si ebbe la proclamazione del Regno D’Italia.
Nel 1875, si raggiunse uno dei culmini dello sviluppo economico, grazie alla scoperta di banchi di corallo a Sciacca. In seguito, passarono periodi di “assestamento” dovute alle guerre, le quali si fecero risentire ovunque, fino a raggiungere il proprio equilibrio mettendosi sempre in avanguardia in campo socio-economico-culturale.
L’evolversi delle colonizzazioni ha lasciato un’impronta profonda alla città. Tutto questo ha permesso Sciacca, oggi, di racchiudere un “POTPOURRI” di stili e culture diverse che, mescolandosi, hanno dato vita a delle vere e proprie opere d’arte monumentale, arricchendo fortemente non solo la cultura, ma soprattutto il territorio saccense.
Come qualsiasi città che si rispetti, anche Sciacca vanta la presenza di un castello, il quale, racchiude una nobile storia. Il fortezza di cui parliamo prende il nome dell’ultima famiglia che vi abitò, i Luna.
Il “Castello Luna” è uno delle più maestose opere presenti a nella città.
Sorge sulla roccia in posizione dominante, nella zona alta della città rispetto alla costa. L’edificio medievale, venne costruito per volontà del Conte Guglielmo Peralta, uno dei quattro vicari del Regno di Sicilia, in seguito alla morte del Re Federico III, intorno al 1380. In occasione del matrimonio tra Margherita Peralta (nipote del Conte Guglielmo) ed il Conte Artale Luna, il Conte Peralta passò l’eredità del castello alla famiglia dei Luna.
Così come nei libri di fiabe, anche questo Castello ha una storia da raccontare, il “Caso di Sciacca”, una storia di odio feroce che distrusse due nobili famiglie, i Luna e i Perollo.
Lo scontro tra le due famiglie ebbe inizio quando il Conte Nicolò Peralta decise di dare in sposa, al conte Artale Luna, la figlia Margherita, segretamente innamorata di Giovanni Perollo.
Questa, in realtà, fu la scusa per dar vita ad una rivalità che già albergava da tempo tra le famiglie, causata da alcuni conflitti d’interesse ed economici, riguardanti la concessione di palazzi e/o proprietà, che entrambe le famiglie volevano il possesso.
L’odio aumentò quando il conte Artale, recatosi alle Terme per uno dei suoi bagni, fu trovato morto nella vasca. La colpa ricadde su Giovanni Perollo, il quale fu accusato di aver avvelenato le acque termali accecato dalla vendetta, ma il Duca Perollo negò fino alla sua morte, avvenuta per cause naturali, di aver agito in questo modo.
Nonostante la morte di entrambi gli esponenti delle famiglie, la contesa tra Luna e Perollo continuò, perché ereditata dai figli Sigismondo Luna e Giacomo Perollo. Questa grande rivalità si concluse quando, a causa di un insulto da parte dei Luna nei confronti dei Perollo, questi fece incendiare le case dei Luna, il quale per vendicarsi incendiò il castello dei Perollo, uccise Giacomo e fece trainare da cavalli il suo corpo nudo, ormai senza vita, per tutta la città. In seguito, Sigismondo Luna, non riuscendo a trovare pace e perdono per la pena atroce inflitta a Giacomo Perollo, durante un suo soggiorno a Roma si suicidò, gettandosi nel Tevere. Ebbe così fine l’eterna rivalità tra le due nobili famiglie.
Come qualsiasi castello degno del proprio nome, anche il Castello Luna era composto da: una cinta muraria, un mastio, una torre e un palazzo comitale.
La cinta muraria si estende per tutto il perimetro della città e, in alcuni punti, è ancora esistente. Le mura sono molto spesse, quelle più recenti del 1550 sono sovrapposte a quelle più antiche del 1330–1335 circa, risalgono a varie fasi costruttive e rappresentano un complesso unitario. Colui che si occupò della loro costruzione fu il viceré Giovanni De Vega e, di quest’ultimo portano ancora il nome.
Una delle caratteristiche della cinta muraria erano le nove porte denominate: “Porta Mare”, “Porta Vagnu”, “Porta San Salvatore”, “Porta Palermo”, “Porta San Calogero”, “Porta San Pietro”, “Porta Mazara”, “Porta Sant’Elmo” e “Porta San Nicolò”. Erano il punto di entrata e uscita dal centro e, all’occorrenza, venivano barricate, rendendo il cuore della città impenetrabile. Nonostante tutto, chi stava dentro le mura poteva muoversi liberamente, questa possibilità era data dalle gallerie che si estendevano, per chilometri, sotto la città. I lunghi corridoi, partivano dal Monte Kronio e arrivavano fino al mare, collegavano l’interno di Sciacca all’esterno, così da permettere, ai cittadini, di sopravvivere per lunghi periodi alle invasioni. Delle nove porte di Sciacca purtroppo oggi ne sono rimaste solo 3 ovvero: “Porta San Salvatore” per metà, “Porta Palermo” e “Porta San Calogero”.
Del mastio, invece, rimane soltanto la pianta quadrangolare, infatti la costruzione fu fatta abbattere per motivi di staticità, non pensando ad un possibile recupero e messa in sicurezza.
La torre a due piani è tutt’oggi esistente, mentre dell’abitazione del Conte rimane purtroppo esclusivamente la parete muraria esterna, che presenta tre aperture le quali si aprivano su tutta la città.
Pur non essendo stato, in passato, oggetto di cura e conservazione, negli ultimi anni, una nuova presa di coscienza ne ha permesso un parziale restauro e l’interesse alla conservazione.
Nonostante le sue non ciclopiche dimensioni, rimane sicuramente una delle più importanti testimonianze in Sicilia di costruzioni civili-militari del 1300.
Come già detto precedentemente, Sciacca, grazie ai vari domini susseguitosi nel corso della storia (sicani, romani, arabi, normanni, ebrei e spagnoli), vanta la presenza di un patrimonio architettonico e culturale di grande prestigio. Il centro storico, ricco d’arte, ne conserva una grande fetta.
In qualsiasi angolo rispecchia un carattere stilistico diverso, non manca nulla, dalle ville che ravvivano la città con i loro colori, alle piazzette e cortiletti decorativi che ricoprono qualsiasi spazio vuoto, ai monumenti che rendono onore ad atti di persone che hanno cambiato diversi ambiti della storia, dal letterario al rivoluzionario (Monumento ai Caduti in Guerra, Monumento dei Caduti in Mare, Monumento di Accursio Miraglia, Monumento di Giuseppe Licata, Monumento di Tommaso Fazello etc..).
Di eccezionale eleganza, spiccano i palazzi di stile gotico, barocco, arabo e normanno con facciate decorate da rosoni, archi e ornamenti in rilievo che catturano l’attenzione dei passanti. A questa categoria appartengono: il “Palazzo Steripinto” famoso per la sua struttura, composta da una facciata ricoperta di bugne a punta di diamante e merlettatura a coda di rondine; il “Palazzo Arone” caratterizzato dalle finestre bifore poste nella facciata principale e da una grande scalinata catalana, che dal cortiletto porta al piano nobile del palazzo; il “Palazzo Inveges” con le sue ringhiere a “petto d’oca” e il suo imponente portale barocco; il “Palazzo San Giacomo”, un tempo sede della Zecca, dal terrazzo merlato e circondato dai resti di quelle che una volta erano colonne in stile quattrocentesco; il “Palazzo Tagliavia” caratterizzato da una splendida merlatura.
Oltre ai palazzi, notevole importanza assumono le chiese di cui Sciacca è piena. Tra consacrate e sconsacrate se ne contano circa trenta. Ogni chiesa vanta uno stile diverso, dal romantico al rococò, dal barocco al rinascimentale, alcune piene di dipinti e statue risalenti ad epoche antiche, altre decorate ed intagliate con ornamenti in oro, tutte rappresentano un patrimonio dal valore inestimabile.
Tra le più importanti sorgono la Matrice di Maria Santissima del Soccorso e la Basilica di San Calogero.
La Matrice di Maria Santissima del Soccorso è la Chiesa Madre di Sciacca, forse la più antica, si presenta con strutture architettoniche tipiche dell’epoca rinascimentale, è formate da 3 “absidi” in stile arabo-normanno e due portali ad arco gotico, racchiude e conserva la Statua di Maria Santissima del Soccorso, Patrona di Sciacca.
Secondo i racconti storici, questa statua venne trovata in mare, durante un brutto periodo storico, che Sciacca ricorda adesso con devozione. In quel periodo la città era stretta nella morsa della peste, ma il 1 Febbraio del 1626, l’intera popolazione iniziò un pellegrinaggio chiamato “U VUTU”, che partiva dalla chiesa di Sant’Agostino e arrivava alla Chiesa Madre.
Il giorno seguente, 2 Febbraio 1626, una folta schiera di marinai, a piedi scalzi, decisero di portare in pellegrinaggio la statua della Madonna trovata in mare. Giunti nell’area della Piccola Maestranza (oggi Via Licata), dal cielo cadde un fulmine che colpì i piedi della vara della Madonna, fu in quel preciso istante che, dal punto colpito, si sprigionò una fumata che si allargò per tutta la città. Da quel momento, tutti i saccensi guarirono dalla peste e questa fu debellata definitivamente dalla città.
Dopo l’accaduto, la Madonna del Soccorso divenne Patrona di Sciacca ed ogni anno, in Suo onore viene organizzata una festa. La ricorrenza si ripete ben due volte l’anno, il 2 Febbraio ed il 15 Agosto. Come da tradizione, anche oggi, il simulacro è portato in spalla dai pescatori, che camminano per le vie della città a piedi scalzi, come segno di rispetto nei confronti della Madonna e, per due volte, la statua viene rivolta verso il mare, sia per scongiurare il pericolo di inondazioni, maremoti e simili sventure, sia per ringraziare il luogo che ha donato, alla città, questa statua miracolosa.
Si tratta della principale festa religiosa di Sciacca ed è tra le tradizioni più sentite dalla cittadinanza, perfino i saccensi che, per un motivo o per un altro, hanno dovuto lasciare la città, emigrando all’estero, tornano per rendere onore alla loro Patrona.
Altra chiesa d’importanza notevole è la Basilica di San Calogero. Costruita da una sola navata, si presenta in chiaro stile Barocco, oltre all’altare maggiore, presenta altri 8 altari laterali.
Situato in cima al Monte Kronio, sorge come santuario dedicato al monaco eremita San Calogero che, nel periodo Bizantino, dopo aver diffuso il Cristianesimo in tutta la Sicilia, si fermò a Sciacca rifugiandosi sul Monte Kronio. In quel periodo, era diffusa l’idea che nelle grotte albergassero i demoni, convinzione scaturita dal forte odore di zolfo che emanavano le pareti rocciose, e fu proprio San Calogero che, entrando dentro le grotte, riuscì ad esorcizzarle scacciando via i demoni. Dopo ciò, elesse a sua dimora una grotta attigua e lì rimase fino alla sua morte. Così facendo, San Calogero divenne Patrono di Sciacca ed ogni anno, esattamente il 18 Agosto, gli vengono tributati onori e festeggiamenti.
La sua grotta è situata proprio sotto il Santuario, rimasta intatta nel tempo è divenuta meta di molti turisti che, ancora oggi, salgono sul monte per vedere le pareti di roccia e il letto di pietra che un tempo appartennero al Santo.
Continuando sempre sulla linea del sacro, oltre alle altre chiese, appartengono a questa categoria i numerosi ex-conventi, utilizzati adesso come sede di Istituzioni o Sala Convegni.
Un po’ meno sacro è, invece, un altro luogo, il “Castello Incantato”.
Sorge in contrada Sant’Antonio, avvolto nel mistero e nella Macchia Mediterranea, visto come un regno scolpito nella pietra.
È un luogo del tutto singolare, popolato da migliaia di teste scolpite dappertutto, sulle rocce, sui rami degli ulivi e addirittura poste a gradoni come un’enorme bolgia infernale.
Questo regno, oggi divenuto “Museo a Cielo Aperto”, un tempo era territorio e dimora di Filippo Bentivegna, rinominato “Re Contadino” o più semplicemente “Filippu di li Testi”.
Bentivegna, tornato da un viaggio negli USA, decise, volontariamente, di chiudersi in solitudine nel sito in cui adesso sorge il Castello Incantato, all’interno del quale è posizionata la sua abitazione, dando vita alla corte del regno popolato da teste scolpite, sulle quali egli poteva esercitare l’autorità sovrana idealizzata in uno scettro, ovvero un particolare bastone di legno con incise delle fisionomie umane che, Filippo di li Testi, portava sempre con se e che definiva “La Chiave dell’Incanto”.
Il luogo si popolò, negli anni, di personaggi di fantasia o cari ai suoi ricordi, come la donna amata vista come una regina.
Filippo Bentivegna passò la sua vita all’interno del sito fino alla sua morte.
Dopo la sua morte, l’intera area con la completa raccolta di sculture, rimase nel totale abbandono per un lungo tempo, molte delle sue opere lasciate incustodite furono distrutte, perdute e divennero preda di sciacallaggio. Solo dopo molto tempo il sito fu ristrutturato ed aperto al pubblico. Furono ritrovati, sulle pareti della sua casa, dei graffiti che raccontavano la sua vita, dalle case del quartiere marinaro a lui tanto caro, ai grattacieli di Boston ed un grande pesce, che si dice simboleggi il viaggio intrapreso negli USA, lo stesso viaggio che fece di Filippo Bentivegna l’artista dell’incanto.
Oggi alcune delle sue sculture sono esposte al Museé De l’Art Brut di Losanna.
La storia di questo uomo figlio di Sciacca, e del suo regno fatto di sculture, ha fatto il giro del mondo ed, ancora oggi, i critici d’arte si dividono tra considerarlo un genio oppure un pazzo.
Da come abbiamo letto, di arte Sciacca ne ha parecchia e non tutta è esposta agli agenti atmosferici. Il Castello Incantato, infatti, non è l’unico museo a Sciacca. Altri musei sono: Museo Scaglione, Museo Antiquarium e il Museo del Carnevale, vere e proprie gallerie in cui pezzi di storia e opere d’arte sono tenute al sicuro ed esposte al pubblico.
Dopo aver parlato dei monumenti e delle opere architettoniche create dall’uomo, passiamo alla bellezza naturale presente a Sciacca.
Il punto di partenza di questo viaggio è la riserva naturale di Monte Kronio.
Monte Kronio o Monte San Calogero, nome scaturito dalla presenza della grotta in cui morì il Santo e dalla presenza del santuario eretto in suo nome, è la parte più alta del territorio saccense.
Geologicamente, è una grossa porzione di crosta terrestre, piegata dalle forze tettoniche che la fanno emergere. Per la sua conformazione sarebbe più corretto identificarlo come Sistema Montuoso di San Calogero.
Su tutto il Monte si estende una riserva naturale caratterizzata da una pineta e da qualche lembo di vegetazione rupestre, mentre sulla vetta vi è la presenza di rapaci tra cui il Gheppio e la rara Aquila di Bonelli.
Il panorama, che offre Monte Kronio, toglie il fiato, ma le sue vere peculiarità sono altre e stanno nascoste nel sottosuolo.
La prima riguarda una serie di gallerie che si estendono per chilometri e arrivano fino al mare, passando sotto tutta la città.
Questi tunnel, servivano ai cittadini durante le invasioni, quando, per evitare che i nemici entrassero nella città, le nove Porte venivano barricate. In queste condizioni, le gallerie permettevano ai saccensi di uscire la notte, per recuperare i viveri da portare all’interno della città, grazie a questo meccanismo, Sciacca, era in grado di sopravvivere per lunghi periodi, pur rimanendo barricata.
La seconda e forse la più importante, è una caratteristica quasi unica nel suo genere che, ogni anno, attira molti turisti. Il monte, difatti, presenta un complesso di grotte molto particolari, che gli antichi Greci dedicarono a Krono, padre di Zeus e che furono da loro utilizzate per scopi terapeutici. L’unicità sta nella presenza, al loro interno, di aria calda sulfurea che si sprigiona dal sottosuolo di origine vulcanica. Proprio per questo motivo, prendono il nome di “Stufe di San Calogero”.
L’acqua, che fuoriesce dalle crepe, raggiunge i 38°C. I Greci la denominarono “Acqua Santa” e così fu chiamata fino al terremoto che, nel “68, fece scomparire la Valle del Belice.
L’aria e i vapori sprigionati dalle grotte sono saturi di sali sulfurei e vengono utilizzati, oggi, per curare malattie respiratorie, reumatiche, affezioni articolari croniche, mialgie, malattie del ricambio ed altre ancora.
L’utilizzo delle grotte, tuttavia, risale a prima che si verificassero i fenomeni vulcanici che apportarono l’emanazione di vapori sulfurei e l’innalzamento delle temperature al loro interno. I numerosi reperti archeologici ritrovati nelle profondità delle grotte, infatti, confermano che furono interamente abitate, in epoca preistorica, per circa tremila anni, in un periodo che va dal V al II millennio a.C. e furono abbandonate quando, un fenomeno tellurico, provocò una frattura interna che diede vita al flusso vaporoso esistente ancora oggi.
La presenza delle “Stufe” è riconosciuta dalla comunità scientifica come unico nel suo genere in Europa ed oggi sono inserite all’interno di un complesso termale.
La leggenda narra che fu di Dedalo, ingegnoso architetto, inventore e scultore, colui che diede vita alle Terme di Sciacca. Egli infatti, in fuga da Creta, prese soggiorno a Sciacca, in quell’occasione scoprì le grotte vaporose. Una volta trovato il luogo esatto in cui scavare la roccia, riuscì a raccogliere abilmente soffi di vapori di circa 42°C e a riceverne gli effetti benefici. Vi allestì egli stesso l’ingresso e le famose sedie intagliate nella pietra. In questo modo, le Terme di Sciacca riuscirono a riscuotere un immediato successo e grazie alle loro qualità terapeutiche e all’incantevole posizione naturale, divennero celebri in pochissimo tempo, tanto da portare tutti i popoli, approdati a Sciacca, a richiederne il possesso, con la pretesa di custodirne l’uso.
Fu con l’avvento del Cristianesimo che ci si allontanò dal Monte e quindi anche dalle stufe, credendo che dentro vi albergassero i demoni.
La bizzarra paura, scaturì dalla forte puzza di zolfo che emanavano le pareti rocciose, ma con l’arrivo di San Calogero, visto come potente esorcista, questa idea si placò e venne rilanciato l’uso curativo delle grotte vaporose.
Oggi, lo stabilimento delle grotte vaporose è una moderna costruzione che, vista dall’esterno, non fa immaginare nulla della sua storia millenaria, ma, varcate le porte che danno ingresso alle grotte, è possibile immergersi in quell’antro di Dedalo e sedendosi sui sedili di pietra, viene spontaneo immaginare secoli passati in cui fenici, greci, ebrei, romani, arabi, normanni, spagnoli, francesi, tedeschi e americani, seduti sulle stesse sedie, confabulavano tra loro.
Le Terme a Sciacca non sono soltanto le “Stufe” del Monte San Calogero.
Infatti, dalle pendici del monte, sgorgano acque termali con straordinarie qualità terapeutiche, le cosiddette Acque Sulfuree o come denominate dai greci “Acque Sante”. Questa denominazione scaturiva dal fatto che Greci, Cartaginesi e Romani, che sul Monte Kronio celebravano riti in onore di Saturno, ricevevano come consiglio dai loro stessi medici, quello di curarsi con le acque delle Thermae Selinuntinae, riconosciute ancor più benefiche di quelle delle Urbe.
Le Thermae Selinuntinae nascono nel VII secolo a.C. ed oggi corrispondono alla citta di Sciacca.
Visto inizialmente come confine territoriale orientale, questo luogo si presenta subito molto particolare, sia dal punto di vista idrologico che geologico. I fenomeni vulcanici sotterranei, le grotte vaporose del Monte Kronio, le varie sorgenti poste ai piedi del Monte Kronio, l’acqua sulfurea (solforoso-sodica) che sgorga dalla Valle dei bagni, la presenza delle cave d’argilla, la fertilità del suolo ed infine il suo mare pescosissimo, portarono i Greci a stabilirsi in maniera definitiva, fondando appunto le “Terme Selinuntine”, facendo così diventare il piccolo villaggio un vero e proprio castello di confine del territorio.
Le Thermae Selinuntinae sono famose, anche per aver dato i natali ad Agatocle. Secondo Diodoro infatti, Agatocle nacque “in Terme di Sicilia allorché questa città era sotto il dominio dei Cartaginesi”, e sembra proprio che, nell’anno della sua nascita, il 361 a.C., le condizioni politiche e territoriali della Sicilia fossero quelle stabilite dalla pace a seguito della battaglia di Cronio (378 a.C.) e, dalle fonti, emerge che, nel 361 a.C., soltanto le Terme Selinuntine siano state possedute dai Cartaginesi.
Un’altra curiosità risale all’epoca dell’impero romano. A quanto pare, proprio in quel periodo, le Terme Selinuntine vennero denominate Aquae Lobodes e divennero, oltre che sito termale, anche centro delle poste dell’intera isola. Una fonte, che conferma la fondazione di questa “statio”, ci è data dalla Tabula Peutingeriana.
Dopo questo salto nel passato torniamo al presente.
Oggi, la sede delle acque sulfuree è uno stabilimento risalente agli anni ‘30 in stile liberty. Di primaria grandezza, è una stazione termale con strutture nuove e perfettamente organizzata, per chi cerca salute e relax. Le principali acque del bacino idrotermale sono: la sulfurio-ipertermali che raggiunge i 56°gradi, l’ipertonica e assai ricca di idrogeno solforato; la salso-bromo-iodica che raggiunge 32° gradi ed infine l’alcalino-litiosa. Esse sono particolarmente indicate per diverse forme reumatiche e artritiche, per le affezioni respiratorie, per le malattie cutanee, per linfatismo e scrofolosi dei bambini. Le tecniche praticate sono le migliori nel campo dello sfruttamento delle acque minerali, l’apertura delle tre grandi piscine, riempite con acqua salina di 34° gradi, dello stabilimento Molinelli con vista sul mare ne è la conferma.
Le Terme sono in funzione tutto l’anno. All’interno dello stabilimento sono presenti il Reparto di Cure Termali ed il Reparto di Fisio-Chinesiterapia. Tutte le cure (inalatorie pediatriche, otorinolaringoiatra, magnetoterapia, ginecologia, fangoterapia, dietologia, fisioterapia, dermatologia, apparato respiratorio, chinesiterapia, angiologia e androterapia) sono convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale, attraverso il quale si possono ottenere un ciclo di cure termali ogni anno o diversi cicli di cure riabilitative a parere del medico curante.
Le Terme di Sciacca con le sue sorgenti e i suoi fanghi minerali, giudicati tra i più efficaci al mondo, richiamano ogni anno una sempre più numerosa presenza di studiosi, malati e turisti. La fama dovuta al suo patrimonio idro-termale ha ribattezzato Sciacca come “La Città delle terme”.
Come si può parlare delle bellezze naturali senza porre l’accento sul mare?
Il mare è un punto forte di Sciacca, sia a livello turistico, sia a livello commerciale.
I suoi litorali dal sabbioso al roccioso e le sue limpide acque turchesi sono, senza dubbio, le attrattive più comuni.
La varietà della costa soddisfa tutti. Tra sabbia e rocce si estendono i numerosi lidi e calette, che accolgono chiunque voglia passare una giornata di puro relax.
In prossimità del centro, da poter raggiungere a piedi troviamo lo Stazzone, il Lido, la Tonnara e la Foggia, spiagge caratterizzate da arenili sabbiosi. Continuando verso ovest, incontriamo le località balneari di Renella, San Marco e Maragani, dove le coste sabbiose si alternano a quelle rocciose nascono piccole e grandi insenature, considerate paradiso per bagnanti e sub. La parte est della città, invece, è caratterizzata da litorali e calette composti da sabbia fine, in ordine: Lumia, Sovareto, Timpi Russi, San Giorgio e Makauda.
Tutte le spiagge sono attrezzate di stabilimenti balneari, chioschi e/o ristoranti, allo scopo di dare, al turista o al cittadino, tutte le comodità possibili anche fuori casa.
I turisti, che ogni anno arrivano per passare una vacanza all’insegna della balneazione, aumentano a vista d’occhio. Si può nuotare, fare surf, canoa, andare in motoscafo e praticare qualsiasi altro tipo di sport acquatico.
Le splendide acque saccensi sono il paradiso di molti sub o appassionati di fondali marini.
Il mare non è solo meta di sport o passioni, è anche un sito archeologico a tutti gli effetti.
Le acque, infatti, celano tesori che, a volte portano a galla, per poi inabissare nuovamente, come se il mare volesse mostrare ad occhi umani i suoi trofei e far capire che appartengono solo ad esso.
Un esempio formidabile, che potrebbe avvalorare questa tesi, è l’Isola Ferdinandea.
Tutto ebbe inizio intorno al 20 giugno del 1831, quando si cominciarono ad avvertire i primi segni di un fenomeno sismico. Per circa dieci giorni, lungo la costa sud-occidentale della Sicilia e nell’entroterra, si avvertirono numerose scosse di terremoto di significativa intensità, mentre nel tratto di mare interessato, a circa 30 miglia davanti Sciacca, era un continuo agitarsi e scaldarsi di acque sconvolte da potenti soffi, che sollevavano al cielo nubi di cenere, fango e lapilli. Si trattava dell’eruzione di un vulcano sottomarino che, con la potenza del suo magma, aveva dato vita ad un evento sbalorditivo, la nascita di un’isola. L’isola Ferdinandea emerse esattamente il 15 luglio, due giorni più tardi era già alta 9 metri, il 22 luglio aveva raggiunto i 25 metri di altezza ed una circonferenza di 1,5 km.
Quel lembo di terra, in mezzo al Canale di Sicilia, acquistò subito un’importanza strategica intuita da diversi governi, quali quello Inglese, quello Francese e quello Borbonico, tanto da far nascere un’accesa disputa tra i regni, che aveva come posta in gioco il possesso dell’isola.
Alcune notizie, pubblicate sui quotidiani dell’epoca, sostenevano che, il primo a mettere piede sull’isola fu il capitano inglese Sanhouse, che piantò la bandiera di sua maestà britannica e battezzò l’isola col nome “GRAHAM”.
Tale notizia non fu, però, ritenuta molto attendibile, in quanto, nel periodo in cui sarebbe arrivato il capitano inglese, il terreno dell’isola sarebbe stato ricoperto di cenere e scorie calde vista la sua natura vulcanica.
Tutto questo giro di informazioni fece, però, innervosire il governo borbonico che, temendo l’arrivo delle navi inglesi, cercò di accelerare i tempi di annessione, attraverso un decreto emesso dal Re Ferdinando II il 17 agosto del 1931, includendo, tra i propri domini, la piccola isola a cui fu dato il nome di Ferdinandea. I francesi, invece, intervennero in modo più velato, attraverso una spedizione di natura scientifica. Il 27 settembre, giunti sul posto, un geologo francese scrisse tra i suoi appunti che, l’acqua intorno all’isola era verdastra, si sentiva un forte odore acido e si distingueva il cratere da cui uscivano colonne di vapore.
Un mese dopo, le dimensioni dell’isola si erano ridotte e l’altezza notevolmente diminuita. L’8 Dicembre, dopo appena cinque mesi di vita, tra colonne d’acqua e soffi di vapore, l’isola Ferdinandea si inabissa, sotto gli occhi increduli di molti osservatori presenti all’evento. Nel posto in cui sorgeva la Ferdinandea, a solo 8 metri di profondità, oggi si trova una secca, con un cono vulcanico pronto a riemergere.
La Ferdinandea è solo un evento più unico che raro, non sempre infatti il mare si è ripreso ciò che ha fatto emergere. Un esempio è la statua della Madonna del Soccorso trovata sul fondale marino, di cui abbiamo già parlato, poi ci sono antichi cannoni da guerra, barche e sommergibili che racchiudono la loro storia e poi c’è il Melqart.
Il Melqart è una statuetta di bronzo, di fattura fenicia, appartenente ad un periodo che va dal IX al XI secolo a.C.. Fu ritrovata durante una battuta di pesca di marinai saccensi nel 1955, nel tratto di mare tra Sciacca e Selinunte. La statuetta è unica nel suo genere, non sono ancora stati ritrovati altri reperti con la quale poterla confrontare. Diverse sono state le tesi fatte sul rinvenimento della statua, fino a quando lo studioso V. Tusa, identificò il reperto nel “Melqart” come espressione fenicia nel Mediterraneo occidentale.
La statuetta è alta 35 cm ed è fissata ad una base tramite due supporti che, allo stato attuale, sono molto rovinati. Rappresenta una figura molto virile, con la gamba sinistra avanzata, il braccio destro sollevato al cielo nella posizione dello scagliare, il sinistro abbassato, con l’avanbraccio proteso in avanti. Le mani sono serrate a pugno, attraversate da due fori che, alle origine, avrebbero dovuto supportare degli accessori come ad esempio delle riproduzioni di armi del periodo. Nel volto è presente la barba, cinge sul capo il tipico ATEF (corona fenicia), ha il torso nudo e indossa lo SHENTI (gonnellino identificabile nello stile egiziano).
Il Melqart di Sciacca rappresenta una divinità in atteggiamento bellicoso e rientra in una nota classe di scultura in bronzo, quella del “Dio Abbattente”. Secondo gli studiosi si tratta del “dio della tempesta”.
Attualmente la statuetta è conservata presso il museo “Salinas” di Palermo.
Un’altra ricchezza, nascosta negli abissi, è il corallo.
È una varietà del Corallium Rubrum, si tratta di lunghi rami affusolati, di color rosa salmone dall’intenso al pallidissimo, dello spessore massimo di 8mm. La Ferdinandea ne era colma, ma il suo destino divenne anche quello del corallo che, si inabissò con l’isola. Fu il saccense Bettu Ammareddu (capitano di una paranza) che, nel 1875, tuffandosi in mare, per recuperare la sua catenina staccatasi dal collo, scoprì un altro banco di corallo emerso dal fango, il banco Graham e, nel giro di pochi anni, ne furono scoperti altri due, il banco Terraneo più vicino alla costa e il banco Foraneo più a largo.
La notizia si sparse velocemente in tutta Europa, causando una razzia indiscriminata dei suddetti banchi, che finirono con l’estinguersi a causa delle tecniche di pesca adottate. Solo negli ultimi decenni, i banchi hanno preso a ricrescere. A volte, capita che qualche ramo rimanga impigliato nelle reti dei pescatori, i quali lo vendono agli artisti corallari, che hanno così modo di creare gioielli sempre più ricercati.
Fino ad adesso abbiamo parlato di isole che scompaiono, reperti archeologici, statue e corallo, ma il patrimonio, racchiuso dalle limpide acque, non è solo questo, il mare è soprattutto fonte di vita e, a Sciacca, di commercio.
Un altro tesoro, forse il più importante per i saccensi, è il pesce.
Il mare di Sciacca è sempre stato un mare ricco di pesci, in particolar modo di pesce Azzurro, è per questo che la pesca è un’arte che esiste da sempre.
Il porto di Sciacca, che un tempo possedeva una delle flotte navali più grandi d’Italia “Flotta Florio”, è costituito oggi da una flotta di circa 500 natanti tra cui pescherecci e piccole imbarcazioni che, ogni anno, sbarcano dalle loro battute di pesca con più di 4000 tonnellate di pesce azzurro.
La sola flotta peschereccia vanta 180 imbarcazioni specializzate nella pesca ed è questo che le permette di essere la seconda in Sicilia.
Le tipologie di pesca praticate sono lo strascico, la sottocosta e il palangaro. La varietà di pesce più pescato rientra nella famiglia del pesce azzurro e la pesca praticata, per questo tipo di pesce, è la cianciolo.
Il pescato viene lavorato a terra, dalle numerose industrie ittico conserviere e viene esportato in tutto il mondo. La vasta richiesta, di questo prodotto, fa di Sciacca il primo produttore europeo.
Continuando sulla scia dei prodotti tipici di Sciacca, non si può non parlare del suo punto forte per eccellenza: la Ceramica.
La Ceramica di Sciacca occupa un posto di rilievo nell’economia tradizionale del paese, sono molteplici gli artigiani che, con elevata maestria, lavorano questo materiale.
Le botteghe sono sparse in tutto il territorio saccense, con un’alta concentrazione nel cuore del centro storico. Le loro produzioni sono, da sempre, una vera ed autentica forma di espressione artistica. Il pregiato artigiano saccense ha avuto, in ogni tempo, una produzione di altissimo livello, tanto da essere apprezzato e richiesto ovunque.
La ceramica saccense si distingue dalle altre ceramiche per lo stile, le tonalità dei colori, i disegni e per i soggetti rappresentati. Mette così in evidenza una forte identità legata a Sciacca.
La Maiolica Saccense ha radici ben profonde. Già nel Neolitico vi sono testimonianze della sua esistenza, nel 40 a.C., il famoso storico Diodoro Siculo definiva Sciacca: “Piccolo borgo di case dove stavano vasellari”. Nel XV secolo, grazie alla presenza Araba, nacque lo stile dei decori, che regalò alla ceramica un periodo prosperoso.
Molti testi, inoltre, riportano che, tra il 500 e il 600, vasellame, mattonelle, quadri e decorazioni varie, prodotti a Sciacca, venivano richiesti in tutta la Sicilia per la loro accuratissima produzione smaltata e le pitture dai motivi fantastici e originali. Sempre a quest’epoca risale l’icona di San Calogero fatto in Maiolica da Padre Francesco Lu Xuto e posizionata all’interno della grotta del Santo.
Oggi, Sciacca è ricoperta di vere e proprie opere d’arte in maiolica, che danno colore e prestigio alla città.
Passeggiare tra le vie del centro storico è un continuo soffermarsi ad ammirare le raffinate ceramiche, esposte nelle vetrine dei numerosi laboratori-negozi di artigiani ceramisti. Sciacca è piena di tradizioni. Passando dal Sacro al Profano, oltre alla processione dedicata alla Patrona di Sciacca la Santissima Madonna del Soccorso e al voto dedicato a San Calogero.